La differenza tra me e te

Un giorno ero a una delle fiere più importanti del nostro settore. Tantissimi espositori, un numero infinito di occhiali. Modelli diversi. Colori diversi. Forme diverse. Ma in tutta questa apparente diversità ecco che nella testa iniziò a ronzarmi quell’interrogativo che non ti aspetti. Che cosa ha il mio prodotto di diverso rispetto agli altri?

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Perché anche l’architetto deve saper raccontarsi

Sono un architetto mancato.
Durante l’università passavo ore su interminabili volumi di economia mentre i miei compagni di appartamento che avevano intrapreso lo IUAV li vedevo entusiasti nel fare esami di progettazione in gruppo.
Il prossimo 20 giugno sarò a dialogare con molti di loro. Sarà un tuffo nel passato. Sarà un balzo verso il futuro, per vedere come è cambiata la loro professione. Da Architetto a Arch(Imprenditore) e ancora una volta ci sarà il tema della narrazione personale e professionale per migliorare e migliorarsi.

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Il racconto può rendere felici?

Un’impresa non è l’atto costitutivo iscritto ad un registro, ma l’espressione vivente di un modo d’intendere la vita all’interno per tutti i suoi collaboratori e all’esterno, come riferimento territoriale e sociale di una comunità. È nel momento stesso che si adotta una metodologia narrativa in ambito risorse umane che si innesca un meccanismo virtuoso di non ritorno.

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Personal Storytelling

“Mi raccomando lei deve essere come una spugna… osservi, chieda, impari e non smetta mai di essere curioso”. Era il 1998 e questa frase ancora oggi rappresenta per me un chiaro messaggio. A rivolgermela era stata l’allora responsabile dell’ufficio stage della Camera di Commercio di Verona, alla presenza di colui che sarebbe stato il mio tutor prima, il mio primo datore di lavoro immediatamente dopo, un grande amico per sempre.

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Lo sviluppo territoriale parla la lingua della narrazione

Come tutte le istituzioni, arrivavamo da un approccio formale, basato per lo più su convegni e pubblicazioni dal taglio piuttosto accademico, ma ci siamo resi conto che mancava qualcosa, mancava il ruolo del capitale umano… sono le storie di persone che fanno la differenza” mi dice con tono entusiastico Alessandro Rubini.

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Storytelling non è fiction

O almeno così è per me.

C’è un elemento che fa da discriminante tra lo storytelling e la fiction. Questo si chiama autenticità. Lo storylelling lo si presenta come una modalità persuasiva che adotta il racconto per intercettare la sensibilità dei suoi fruitori, in primis i clienti. Duranti i miei incontri spesso mi viene posto proprio l’interrogativo legato alla veridicità o meno dei racconti che si fanno portatori con modalità diverse delle aziende con i propri brand.

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Narrare il made in Italy

Parlavo l’altro giorno con un amico della necessità di raccontare attraverso un nuovo linguaggio le potenzialità del nostro artigianato locale.

Il discorso è articolato e complesso, però quando si legge che più del 60% di chi ricerca “made in Italy” in rete, approda su siti stranieri, forse è il caso di capire immediatamente ed agire subito dopo, su come non solo possiamo (dobbiamo) riappropriarci di questo nostro “petrolio”, ma anche valorizzarlo.

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Il design che dura è quello ben raccontato

Alcuni sostengono che un oggetto dovrebbe parlare da sé. È vero, ma solo in parte. La creazione di un oggetto deve essere anche supportata da ciò che c’è dietro a tutto il suo percorso di sviluppo. Se ci fermassimo alla pura osservazione, rischieremo di perdere di vista quegli aspetti che vanno oltre all’estetica e alla funzionalità dell’oggetto. È per questo che di una settimana di una Milano all’insegna del design, ciò che rimane immortalato sono state le proposte accompagnate da un racconto. Ma che tipo di racconto?

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