Storie d’impresa da leggere: il riepilogo di maggio

Ogni mese, su To Be Continued – il mio spazio su Il Sole 24 Ore – racconto storie che meritano di essere ascoltate, condivise, continuate. Storie d’impresa, certo. Ma prima ancora, storie di persone. Di visioni che diventano realtà, di sfide trasformate in opportunità, di identità che si mettono in gioco per lasciare un segno. Da questo mese, ho deciso di raccoglierle anche qui, in un breve riepilogo mensile. Per chi se le fosse perse. Per chi vuole rileggerle. Per chi è alla ricerca di ispirazione.

Ecco le storie di maggio: Antonio Cannata – La partita più grande si gioca in casa; Emanuele Rissone e Forever Bambù: l’economia che rigenera; Michela Canzi Babini – La bellezza che si tramanda; Simone Terreni – L’innovazione che parte dalla periferia; Alberto Stecca – La ricarica che parte da una visione del futuro; Tre passi nella sostenibilità (che si possono fare) ed infine Anna Prandoni e Gastronomika Festival, dove il cibo diventa cultura viva.

Hai letto una storia che ti ha colpito particolarmente? Conosci un’imprenditrice o un imprenditore che merita di essere raccontato? Scrivimi. Perché le belle imprese non finiscono mai.

Torniamo a raccontare belle storie

Si torna a viaggiare!

Dopo qualche mese di impegni sopraggiunti, ecco che il mio spazio “To Be Continued” su Il Sole 24 Ore riprende a raccontare le sue storie di impresa e direi che per ricominciare non poteva esserci incontro migliore che quello fatto con Andrea Montuschi, perché la sua, è la storia di una di quelle persone che capiscono ad un certo punto della loro vita non solo che è il momento di fare qualcos’altro, ma pure del come farlo e perché farlo.

Questo è il link dell’articolo e buona lettura.

Le storie sono dinamiche

Si continua a parlare di Dialoghi D’Impresa, oltre al bellissimo speciale andato in onda sul canale Sky di Class CNBC (che potete rivedere a questo link), domenica scorsa un bell’articolo di Giampaolo Colletti dal titolo “La progettazione del futuro di un’azienda parte dall’investire nel passato (e nel progetto condiviso)” è apparso su Il Sole 24 Ore.

Perché non esistono storie statiche. Le storie sono per loro natura dinamiche e pronte per essere raccontate nella loro coralità.

È sempre una questione di identità

È sempre una questione di identità. È sempre una questione di costruire il proprio futuro, guardando da dove si è partiti. È un processo, evolutivo e nello stesso tempo di ricostruzione dell’anima. Che ogni individuo ha. Che ogni impresa ha. Quella che vi sto per raccontare è un po’ un esempio di quella che potremmo definire genetica di un brand.

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Ritratto di un incontro

Di saggi sulla leadership traboccano le librerie. Anche testi sull’importanza delle persone all’interno delle organizzazioni aziendali non mancano. Quello che manca spesso è la capacità di tramutare in azioni i buoni propositi e mantenere, alimentare e amplificare, quell’atteggiamento costruttivo in grado di dare la giusta definizione al successo: far accadere le cose. Quella che vi sto per raccontare è il dietro le quinte di una storia imprenditoriale straordinaria. Dove fatturato ed EBITDA ne consacrano il valore economico creato, ma che forse non ne dettagliano le sfumature più importanti, quelle legate a come si arriva a tali risultati. L’azienda della quale vi sto parlando oramai è un gruppo il cui nome è Somec. A capo di questo gruppo c’è un uomo verso il quale dirigerò il riflettore per capire l’importanza di avere un team di persone  in grado di condividere un sogno e capace di darne concretezza. Questo uomo si chiama Oscar Marchetto e questa storia nasce da un incontro con lui.

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Unire i puntini

Ci sono storie che sembrano già scritte per le quali, rileggendole a posteriori, se ne colgono dettagli che fanno capire che la direzione intrapresa dal racconto non poteva essere diversa. “Unire i puntini” citava Steve Jobs, nel suo celebre discorso all’Università di Stanford, il 12 giugno 2005, in occasione della consegna delle lauree. Comunque sia, la storia di Alessandro Sonego qualcosa di scritto ce l’aveva.

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#AvampostoImpresa: Francesca Parisini

C’è un ambito imprenditoriale che dall’oggi al domani ha visto azzerato ciò faceva. Stiamo parlando degli eventi. La massima espressione di socialità. Un vero rituale collettivo. Avevo bisogno di parlarne con qualcuno che oltre a mettere a nudo lo stato dell’arte, mi proponesse in maniera autentica, dalla sua soggettiva, le paure, ma pure le speranze legate al futuro di questo settore. Mi serviva l’interlocutore giusto per affrontare questo tema. L’ho trovato. Anzi l’ho trovata. Lei si chiama Francesca Parisini ed è la co-founder, insieme a Luca Lazzaris di Elastica. Ne nasce un dialogo molto piacevole. Pragmatico, ma pure emozionante. Sì perché quando ti accorgi di avere di fronte una straordinaria professionista nel suo ambito, ma pure una persona e non un personaggio, si chiude il cerchio di un #AvampostoImpresa di valore.

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#AvampostoImpresa: Walter Bertin

Ci sono alcune aziende nelle quali percepisci che c’è quella, che il buon Lorenzo Jovanotti Cherubini, chiamerebbe “tensione evolutiva”. Questo accade quando un’impresa è orientata al futuro. Ricerca, innovazione, curiosità, ma pure approccio, atteggiamento e attitudine. Tutto ciò coincide non solo con chi questa azienda l’ha fondata, ma in tutti coloro che vi collaborano. Se a questo si aggiunge visione, strategia e pure filosofia, c’è una forte probabilità che questo diventi un luogo ideale dove lavorare.

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