Le migliori cose nella vita non sono cose

Le migliori cose nella vita non sono coseNei giorni scorsi ho pubblicato questa riflessione sul tema storytelling e retail su Cretail Magazine. L’articolo inizia così:

“The best things in life aren’t things” diceva Arthur “Art” Buchwald, il giornalista e scrittore statunitense, vincitore nel 1982 del premio Pulizer. Da questa citazione si possono aprire una serie di considerazioni. Tante di queste possono ricondursi al ruolo che già oggi e sempre più, in un futuro veramente prossimo, avranno i negozi e i luoghi di acquisto. Il tutto gravita attorno a quello che è il concetto di esperienza.

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Non si vendono più solo prodotti ma esperienze

Intervista di Andrea Bettini su Il Gazzettino di VeneziaIeri il quotidiano Il Gazzettino ha pubblicato una mia intervista sul tema della narrazione applicata al mondo delle imprese per comunicare in maniera più efficace. Al di là del disguido del titolista che mi ha cambiato il nome in Marco (ma forse per rimarcare la mia “venezianità” in onore al patrono della città) ci sono alcuni passaggi che mi fa piacere condividere pure qui:

I teorici dell’economia dicono che ci stiamo sempre più dirigendo nella direzione non tanto di possedere qualcosa, ma di utilizzare qualcosa. Se questa è la premessa è chiaro che sempre più si andrà nella direzione non tanto di acquistare un prodotto, ma di vivere un’esperienza e qui entra in gioco in maniera imponente il ruolo della narrazione.

 

Per quanto riguarda invece la promozione di se stessi, il racconto ha la funzione di trasferire la componente umana di una persona. Le aziende hanno bisogno non solo del saper fare di un individuo, ma anche del suo essere, inteso questo come valori, fiducia e passione nel fare le cose. La narrazione del sé permette di trasferire questi aspetti che non possono trovare spazio in un tradizionale CV.

L’uomo è artefice della propria storia (e questa storia passa attraverso i media digitali)

Il mio guest post per Ninja Marketing inizia così:

“Homo faber fortunae suae.”

Troneggiava così, la celebre citazione di Appio Claudio Cieco, al centro di una sala dell’auditorium vestito a festa per accogliere il meeting di un centinaio di agenti di vendita di una nota azienda. Non era puramente motivazionale la scelta di quella frase. Era il fil rouge di una riunione dove i professionisti arrivavano da tutta Italia per fare un bilancio dell’anno appena trascorso, ma soprattutto tracciare le linee di quello da poco iniziato.

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Testimone di una professione possibile

UNIVROggi torno in aula e con me il mio libro, ma non solo. La mia esperienza e le tante storie che ho narrato. L’occasione me l’ha data Tiziana Cavallo docente del corso “Teoria e tecniche della comunicazione multimediale” all’Università di Verona. Sarà un piacere raccontare della mia professione, di che cos’è il Corporate Storytelling e di quali sono le sue modalità di applicazione nel mondo dell’impresa.

Sarà una bella esperienza e chissà magari dalle mie parole riuscirò  a trasferire a giovani intraprendenti la passione per una professione nuova e della quale le aziende hanno una forte necessità. Perché come dirò oggi: “Fare Corporate Storytelling non è solo raccontare storie, ma molto di più“.

Come puoi contribuire all’evoluzione della storia di questa azienda?

Chi entra in un’azienda oggi lo fa sì per apportare le proprie competenze, ma non solo. Lo fa anche per esprimere attraverso lavoro e professionalità, la propria persona. In alcune aziende sono cambiate anche le modalità di selezione del personale. Non basta un curriculum intriso di esperienze passate. Conta quello che puoi fare oggi. Domani.

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